L’invenzione dell’identità di Duccio Trombadori

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Felipe Cardeña, artista versipelle e versicolore, anche se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Anzi: ci ha pensato da solo a doppiare la sua identità come se  fosse il banditore di un altro sé stesso, che poi è un altro, e forse un altro ancora. Già più di mezzo secolo fa, comparve l’autobiografia stravagante di Jusep Torres Campalans,  pittore cubista catalano, coevo di Braque e Picasso, che aveva molto in comune con i due col privilegio, però, di essere una pura finzione letteraria escogitata dallo spagnolo franco tedesco Max Aub, scrittore ironico, sulfureo e ‘doppio’ quanto altri mai.
Così poco importa sapere la vera identità di Felipe Cardeña (nato nel 1979, pure lui catalano di Balaguer, pare)  che divaga come icona portatile sulle copertine di riviste alla moda, striscia sui video dei social-network e compare in rassegne d’arte più o meno mid-cult, come vuole la temperatura estetica contemporanea, agglutinante immagini disposte sui padiglioni sempre più variopinti, sempre più effimeri, che pullulano e si avvicendano in "tutte le biennali del mondo".

Felipe Cardeña si mostra in pubblico e pure si nasconde dietro il sorriso parodistico di un icastico mantra, non dipinge per principio e adotta la più congeniale tecnica del collage: egli così riveste l’epitelio visivo ritagliando figure come un bimbetto paziente, le giustappone, le integra con cura armonizzante fino a quando non gli pare che l’immagine elaborata abbia raggiunto un’efficacia di messaggio.
Cardeña è infatti e vuole essere un comunicatore per eccellenza. E addirittura meglio si potrebbe paragonare la sua intenzione estetica alle migliori leghe di metallo conduttore di elettricità o pure di calore: come l’oro, l’argento, il rame, il tungsteno.
L’aspetto delle composizioni di Felipe è molto lusinghiero per chi ama essere suggestionato dalla prima impressione. Se ne ricava una pedagogia visiva che rimanda subito all’elemento ‘tantrico’, e non solo perché prevale nei suoi stilemi il richiamo ai colori accesi, alle forme impredicabili e maliziose delle divinità femminili indù.
Il fatto è che Cardeña pratica l’insieme dei suoi insegnamenti come percorso d’esperienza fatta in pubblico, non indica sentieri filosofici da attraversare, ma suggerisce ‘come’ arrivare dalla immagine semplice e chiara ad una sorta di ‘nirvana’ del pensiero e dei sentimenti.
Siamo di fronte ad un simpatico trasparire di situazioni connettive della percezione visiva identificate nel minimo comune denominatore dele culture: al gesto plurimo delle braccia e delle gambe incrociate di Kalì, che troneggia al centro della composizione, si può accompagnare a sostituto il torso della Venere di Milo, una testa di Antinoo, la Fornarina di Raffaello, così come un dannato di Bosch, un sacerdote egizio, il Laocoonte del Vaticano, le Grazie del Perugino, una ancella di Alma Tadema, due ritratti Fayyum, il Davide di Michelangelo con citazione di piccolo nudo novecentista di donna addormentata, dipinto da Francesco Trombadori, ecc…
Che collagista coltivato, che abile volgarizzatore, il nostro Cardeña! Se la via iniziatica prevede la segretezza rituale come regola aurea, il procedimento messo in atto da Felipe la rovescia in una esplicita patente introduttiva alla misteriosa ‘vita delle forme’. ‘Tantra’ in sanscrito vuol significare l’ordito, il telaio, la rete, ma anche è sinonimo di principio e di ‘essenza’.
L’insegnamento derivante dal diorama ritagliato e incollato in superficie è proprio quello della essenzialità di ogni vana apparenza, e viceversa, così che richiami erotici, sedimentazioni estetiche, reminiscenze ed impressioni vissute si stampano nell’occhio come un lampo di magnesio per un effetto stupefacente e persuasivo.
Sorpresa, meraviglia e colore fanno tutt’uno con un racconto seriale che avvicenda le immagini sul tappeto scorrevole di una videocamera interiore capace di agglutinare cronaca, storia, idee e stimoli estetici  a cultura variabile.  Rispetto ai cosiddetti ‘sistemi centrici’ che presuppongono il potere significante e razionale di un soggetto il pandemonio visivo e ipertestuale generato da Cardeña sembra collegare segnali e simboli differenti, privi di gerarchie prestabilite o privi di un senso.
L’evidente ascendenza ‘rizomatica’ - come la intendevano gli ‘antiedipici’ Deleuze e Guattari - è il pregio di un arsenale estetico che annuncia, senza rivelarla, la cifra identitaria ed espressiva dell’artista. Egli evoca e celebra il trionfo della connessione, l’eterogeneità multimediale, la molteplicità interpretativa, la perdita di significato ed elabora una cartografia di immagini come libera intercettazione dell’esistente.
Con notevole capacità di sintesi, Felipe Cardeña elabora una intelligente ‘metafora della rete’ e mette in opera un possibile abbecedario di esperienze visive che non hanno principio né fine, e però sollecitano ed  lo sguardo ad attivare una infinita scelta di percorsi narrativi, dove l’immagine-ideogramma non rimanda a null’altro che alla sua sottile e fuggevole apparenza. Uno, nessuno, centomila, direbbe Pirandello: o personaggio in cerca di autore che nel caso di cui si tratta ha avallato col nome e cognome la certa presenza stilistica dell’opera. Se anche non ci fosse, l’identità di Felipe Cardeña è più di una invenzione.